APPROFONDIMENTO
N. 09


22 NOVEMBRE 2024

Buoni pasto: i criteri di corresponsione tra disciplina e prassi

Introduzione

Il tema del riconoscimento dei c.d. ticket restaurant è piuttosto dibattuto in giurisprudenza. Quest’ultima oscilla costantemente tra orientamenti che riconoscono il diritto del lavoratore a percepire il buono pasto a prescindere dalla resa effettiva della prestazione lavorativa a posizioni che negano tale diritto, non ritenendo il ticket restaurant un elemento costitutivo della retribuzione
Il presente approfondimento si pone l’obiettivo di esaminare alcune delle ipotesi in cui il riconoscimento del buono pasto nei confronti del lavoratore non sia strettamente connesso alla resa della prestazione lavorativa o non possa essere considerato come un servizio sostitutivo della mensa aziendale in senso stretto

Ci riferiamo a quelle fattispecie in cui vi sia assenza della prestazione lavorativa (si pensi alle ipotesi del godimento delle ferie annuali) ovvero alle ipotesi in cui la prestazione lavorativa venga resa al di fuori dei locali aziendali (lavoro agile) e ancora, nel caso in cui tale prestazione si collochi in un arco temporale della giornata lavorativa ove non è ricompresa la pausa pranzo (part time).

Infine, verranno comparati alcuni Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro – i pochi che si sono occupati di regolamentare l’istituto -  per confrontare eventuali differenze di trattamento rispetto agli orientamenti giurisprudenziali ed alla prassi amministrativa.


La natura del buono pasto: elemento retributivo o servizio sostitutivo della mensa?

In merito alla natura attribuibile ai buoni pasto, in mancanza di un’esplicita previsione normativa, occorre fare riferimento a quanto disposto dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa.
L’attuale normativa (Decreto del Presidente del Consiglio del 18 novembre 2005, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 17 gennaio 2006, recante disposizioni in materia di affidamento e gestione dei servizi sostitutivi di mensa) definisce all'art. 2, comma 1, lett. c), il buono pasto come "il documento di legittimazione, anche in forma elettronica", avente determinate caratteristiche che attribuisce al possessore, ai sensi dell'art. 2002 del codice civile, il diritto ad ottenere dagli esercizi convenzionati la somministrazione di alimenti e bevande e la cessione di prodotti di gastronomia pronti per il consumo, con esclusione di qualsiasi prestazione in denaro".
Parte della giurisprudenza e l’Agenzia delle Entrate qualificano il buono pasto come un’erogazione volontaria di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le esigenze di servizio con quelle quotidiane del lavoratore (Cass., sent., n. 5547/2021), escludendo a priori la natura tipica di componente retributiva.
Coerentemente con questa impostazione, per l’Agenzia delle Entrate, il buono pasto assolve la funzione peculiare di provvedere, o almeno di concorrere, alla copertura del costo economico legato alla consumazione del pasto durante la pausa pranzo in assenza di un servizio di mensa aziendale (Nota AdE del 21 gennaio 2013.)

Un orientamento della Corte di Cassazione (Cass. Sent. n. 20087/2008, n. 14290/2012, n. 14388/2016, n. 31137/2019), in linea con quanto precede, non considera il buono pasto come un elemento costitutivo della retribuzione, ma lo riconduce a un trattamento occasionale collegato al mero prolungamento della prestazione lavorativa oltre il periodo in cui è prevista (e garantita) la pausa pranzo. Sulla scorta di tale orientamento, quindi, si dovrebbe considerare la funzione del buono pasto esclusivamente riconducibile alla garanzia della fruizione del pasto per il lavoratore, nell’ambito della di lui giornata lavorativa, che abbia una durata e un’articolazione tali da rendere necessaria l’effettuazione della pausa pranzo stessa, ove non vi sia un servizio di mensa aziendale garantito dal datore di lavoro.

Tale orientamento pare, quindi, confermare come i ticket restaurant non costituiscano un istituto legato allo svolgimento delle mansioni del lavoratore e non rappresentino in alcun modo un corrispettivo volto a compensare la prestazione lavorativa resa dal lavoratore, collocandosi quindi al di fuori del rapporto sinallagmatico tra prestazione lavorativa e retribuzione, facendo sì che l’attribuzione di natura retributiva ai buoni pasto venga esclusa a priori, salvo che la contrattazione collettiva disponga diversamente.

Le disposizioni del TUIR: il buono pasto quale prestazione sostitutiva del vitto

Anche il T.U.I.R. (Testo Unico delle Imposte sul Reddito) statuisce all’art. 51, c.2, lett. c), del D.P.R. 917/1986 che non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente:

“… le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino all'importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica…”

Appare chiaro che proprio ai fini dell’applicabilità della soglia di esenzione, per il Legislatore il buono pasto debba essere concesso in assenza di un servizio di mensa organizzato dal datore di lavoro. Al contrario, nel caso in cui sia previsto il servizio mensa da parte del datore di lavoro e contestualmente venisse erogato ai lavoratori il buono pasto, non si configurerebbero le ragioni sostitutive previste dal citato art. 51, c.2, lett. c), determinando in tal senso l’intero assoggettamento fiscale e contributivo del valore nominale riferito al singolo buono pasto concesso in godimento.

Ma vedremo nel prosieguo che anche l’AdE è ritornata sui propri pass, non ritenendo essenziali le ragioni sostitutive del servizio di mensa ai fini dell’erogazione dei ticket restaurant

In aggiunta alle ragioni sostitutive di cui al punto che precede – stante il silenzio della normativa attuale – vi è un secondo presupposto ormai ritenuto come consolidato dalla giurisprudenza e, soprattutto, dalla prassi amministrativa (AdE., Circ. n. 326/E/1997; AdE., Circ., n. 188/E/1998; AdE., Circ. n. 5/E/2018.), a cui risulta subordinata l’esenzione del valore nominale del buono pasto. Quest’ultimo, infatti, non concorre a formare il reddito da lavoro dipendente se l’erogazione interessa la generalità dei lavoratori dipendenti ovvero categorie omogenee degli stessi, escludendo pertanto qualsiasi erogazione ad personam dei buoni pasto, costituendo in tal senso dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati lavoratori, con il conseguente assoggettamento fiscale e contributivo dell’intero valore nominale del buono pasto.

Buoni pasto concessi durante le ferie

Come anticipato nelle premesse del presente approfondimento, parte della giurisprudenza è anche giunta a conclusioni diametralmente opposte a quelle finora evidenziate, propendendo per attribuire al buono pasto natura spiccatamente retributiva

Infatti, sulla base delle decisioni della Corte di Giustizia (cfr. CGUE 20 gennaio 2009 C-350/06 e C-520/06)– secondo cui la retribuzione corrisposta durante i giorni di ferie deve assicurare un trattamento paragonabile a quello dei giorni lavorativi ordinari – la Corte di Cassazione (Cass., ord., n.25840/2024.) ha recentemente confermato il diritto dei lavoratori alla corresponsione dei buoni pasto, anche durante i periodi di assenza dal lavoro per la fruizione delle ferie.
Pertanto, secondo la Corte, la retribuzione feriale deve comprendere qualsiasi importo collegato alla esecuzione delle mansioni e correlato allo “status” personale e professionale del dipendente. 

Tuttavia, è anche vero che il Legislatore Europeo ritiene che la retribuzione da corrispondere in occasione delle ferie sia da intendersi come “l’importo che comprende qualsiasi emolumento pecuniario che si ponga in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore”. (Art. 7, Direttiva Europea 2003/88/CE.)
Tale valutazione sembra che non sia stata presa in considerazione dalla Suprema Corte nel momento in cui ha previsto la maturazione dei buoni pasto durante le ferie.


Buoni pasto concessi ai lavoratori part time

Fermo restando il requisito relativo al necessario riconoscimento dei buoni pasto alla generalità dei dipendenti ovvero a categorie omogenee degli stessi, l’Agenzia delle Entrate (AdE, circ., n. 118/2006.) ha assunto una posizione favorevole rispetto alla corresponsione dei buoni pasto anche ai lavoratori la cui prestazione di lavoro venga svolta in regime di part time.

Il già citato D.P.C.M. prevede, infatti, all'art. 5, comma 1, lett. c), che i "buoni pasto siano utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva, esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempi pieno o parziale, anche qualora l'orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché' dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato".
La previsione normativa sopra richiamata prevede, di fatto, la possibilità che anche in favore dei dipendenti assunti a tempo parziale, con un'articolazione dell'orario di lavoro che non prevede una pausa per il pranzo, possano essere corrisposti buoni pasto da parte del datore di lavoro. 

Si deve ritenere che la nuova normativa abbia tenuto conto del fatto che la realtà lavorativa è sempre più caratterizzata da forme di lavoro flessibili

Per tale ragione, secondo l’AdE, i buoni pasto riconosciuti ai lavoratori part time rientrano nel regime di esenzione fiscale e contributivo anche se gli stessi lavoratori siano tenuti a rendere la prestazione lavorativa in un determinato periodo della giornata che non prevede il diritto alla pausa pranzo, seppur venendo meno l’esigenza “sostitutiva” considerata prima come condicio sine qua non sia per l’accesso al regime fiscale di favore, che per l’erogazione dei buoni pasto stessi.


Buoni pasto durante lavoro agile

Come noto, per lavoro agile si intende una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa in assenza di vincoli orari o spaziali e con un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro, che può essere resa in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte all’esterno senza una postazione fissa un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori all’interno dell’azienda.

Pertanto, considerando l’ipotesi in cui la prestazione lavorativa venga svolta al di fuori dei locali aziendali – sia che essa avvenga presso il domicilio del lavoratore o meno – il lavoratore non è obbligato a rendere la prestazione in un orario comprensivo della pausa pranzo ed in un luogo (la sede di lavoro) diverso dalla propria abitazione.
Nello svolgimento dello smart working viene lasciata al lavoratore la possibilità di organizzare la propria prestazione lavorativa in piena autonomia anche e soprattutto con riferimento ai tempi di svolgimento del lavoro, che non vengono scanditi dalle direttive del datore di lavoro, venendo rimessa al lavoratore anche la possibilità di interrompere la prestazione lavorativa per godere della pausa pranzo a sua discrezione (fermo restando l’obbligo di garantire la prestazione durante determinate fasce orarie ipoteticamente concordate in sede aziendale o individuale).
In tale contesto, secondo la giurisprudenza (Tribunale di Venezia sent. n. 1069/2020) ha negato ai lavoratori in smart working il diritto a ricevere i buoni pasto, in quanto non costituirebbero un trattamento necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro.

Secondo i giudici, per la maturazione dei buoni pasto è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie che portino il lavoratore a consumare il pasto al di fuori dell’orario di servizio.
Ma in modalità di lavoro agile il lavoratore è libero di organizzare come meglio crede lo svolgimento della prestazione dal punto di vista temporale, pertanto i predetti presupposti non sussisterebbero.
Il Tribunale, poi, richiama l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui “il buono pasto è un beneficio che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell’ambito dell’organizzazione di lavoro, si possano conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoro, al quale viene così consentita, laddove non sia previsto un servizio mensa, la fruizione del pasto al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per la prosecuzione dell’attività lavorativa” (Cass. n. 31137/2019).

Al netto di quanto finora anticipato, occorre altresì tenere in considerazione il fatto che la disciplina del lavoro agile, ferme restando le tutele garantite dal D.lgs. 81/2017, è rimessa all’accordo delle parti sia a livello collettivo che individuale, lasciando un ampio margine di discrezionalità alle parti sottoscrittrici dell’accordo in merito alla corresponsione del buono pasto anche durante le giornate in cui la prestazione lavorativa viene resa in modalità agile e ove non ricorrano nei fatti le esigenze sostitutive precedentemente citate. 


I buoni pasto nei diversi Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL)

CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO (CCNL) DISPOSIZIONI RELATIVE AI BUONI PASTO
… ai lavoratori viene corrisposto un buono pasto per ogni giornata intera di effettiva presenza con rientro pomeridiano dal lunedì al giovedì.
CCNL Assicurazioni - ANIA; Art. 96
CCNL Credito - ABI; Art. 53 … a ciascun lavoratore spetta, per ogni giornata in cui effettua la pausa, un buono giornaliero per la consumazione del pasto.
CCNL Autorimesse e noleggio autoveicoli; Art. 45 … nelle giornate effettivamente prestate di lavoro agile viene erogata l’indennità mensa ove esiste, ovvero il ticket restaurant, ovvero, in caso di prestazioni in altra sede aziendale, la possibilità di fruire dei servizi mensa se presenti.




Per concludere quindi – analizzando le diverse disposizioni previste dai contratti collettivi sopra riportati a titolo esemplificativo – è possibile desumere come anche le parti sociali hanno inteso legare in generale la corresponsione del buono basto all’effettuazione o della pausa pranzo (collocata all’interno dell’orario lavorativo) ovvero all’effettiva presenza in sede con rientro pomeridiano sul posto di lavoro. Con l’unica eccezione del CCNL “Autorimesse e noleggio autoveicoli”, il quale prevede la corresponsione del buono pasto anche se non vi è presenza effettiva in sede, derogando al principio generale confermato anche dalla giurisprudenza e disponendo un trattamento di miglior favore per i lavoratori appartenenti a tale settore.
Appare superfluo sottolineare che in ogni caso l’autonomia delle parti in sede di negoziazione nelle fasi di instaurazione del rapporto di lavoro lascia ampio margine di manovra circa il riconoscimento o meno dei buoni pasto.

Tuttavia, una volta riconosciuti i ticket restaurant al lavoratore, diventa piuttosto difficile per il datore di lavoro decidere di interrompere tale erogazione, se non in presenza di comprovate ragioni giustificatrici che non possono tuttavia prescindere da una lineare e chiara regolamentazione dei presupposti di corresponsione del buono pasto.
Ciò anche al fine di non ingenerare prassi “consolidate” che creano nel lavoratore un legittimo affidamento circa gli elementi costitutivi del proprio “pacchetto retributivo” nel quale egli sicuramente considererà anche i ticket restaurant


Si rimane a disposizione per qualsiasi eventuale ulteriore confronto si dovesse ritenere opportuno.
 































© Copyright ArlatiGhislandi, Milano – 2020

La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo nonché la memorizzazione elettronica sono riservati.