FOCUS ON
N. 05


16 MARZO 2023

Legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale per gli operatori sanitari

Con sentenza 9 febbraio 2023, n. 14, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente legittimo l’obbligo vaccinale imposto agli esercenti le professioni sanitarie e agli operatori d’interesse sanitario per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 stabilito dall’art. 4, c. 1 e 1-bis del D.L. 1° aprile 2021, n. 44. È stato altresì dichiarato legittimo il disposto di cui all’art. 4, c. 4 e 5 del D.L. 1° aprile 2021, n. 44, per effetto del quale il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale di cui sopra determina la sospensione immediata dall’esercizio della professione sanitaria senza che sia dovuta la retribuzione né altro compenso od emolumento comunque denominato.

La questione di legittimità costituzionale delle richiamate norme è stata sollevata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con particolare riguardo all’art. 32 della Costituzione che prescrive in capo alla Repubblica di tutelare il diritto alla salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (ordinanza 22 marzo 2022, n. 38). 


Condizioni per l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio

L’art. 32, c. 2 della Costituzione dispone che ‘nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge’. Stando agli orientamenti espressi dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, tale norma è correttamente applicata quando sia assicurato il bilanciamento con altri principi e diritti costituzionalmente garantiti. Deroghe al citato art. 32, c. 2 della Costituzione sono ammissibili: 
a) quando il trattamento sia diretto a migliorare o preservare lo stato di salute dell’individuo e, al contempo, della collettività, giacché è proprio tale ulteriore scopo a giustificare la compressione dell’autodeterminazione dell’individuo; 
b) nel caso in cui essa non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, dunque, tollerabili;
c) nell’ipotesi di danno ulteriore purché sia garantito un equo indennizzo in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (ex multis, Corte Costituzionale, sentenze 23 giugno 1994, n. 258 e 22 giugno 1990, n. 307). Dunque, il rischio d’insorgenza di un evento avverso, anche grave, non rende di per sé costituzionalmente illegittima la previsione di un obbligo vaccinale, costituendo una tale evenienza titolo per l’indennizzabilità.

L’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio trova dunque giustificazione in quel principio di solidarietà che rappresenta la base della convivenza sociale e che impone anche il ‘dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri’ (Corte Costituzionale, sentenza 26 aprile 2012, n. 107). 


Bilanciamento della dimensione individuale e collettiva del diritto alla salute 

Con riferimento ai trattamenti vaccinali, così come alla generalità dei trattamenti sanitari, è noto sussistere il rischio congenito del verificarsi di un evento avverso, anche grave (Corte Costituzionale, sentenza 14 dicembre 2017, n. 268). Pertanto, la Corte ha ribadito che sino a quando l’evoluzione della scienza e della tecnica non consentirà l’eliminazione di tale rischio, la decisione di imporre un determinato trattamento sanitario attiene all’esclusivo potere discrezionale del legislatore, da esercitarsi in modo non irragionevole (Corte Costituzionale, sentenza 18 aprile 1996, n. 118).

In altri termini, ‘poiché tale rischio non sempre è evitabile, è allora che la dimensione individuale e quella collettiva entrano in conflitto. In questa situazione, la legge che impone l’obbligo di vaccinazione […] compie deliberatamente una valutazione degli interessi collettivi ed individuali in questione, al limite di quelle che sono state denominate <scelte tragiche del diritto>: le scelte che una società ritiene di assumere in vista di un bene che comporta il rischio di un male’ (Corte Costituzionale, sentenza 18 aprile 1996, n. 118). 
Del resto, proprio l’eventualità che si manifesti un evento avverso è la ragione della previsione dell’indennizzo che, a differenza del risarcimento del danno, spetta anche in presenza di un rischio imprevedibile (Corte Costituzionale, sentenza 18 gennaio 2018, n. 5).


Valutazione della legittimità costituzionale della decisione legislativa

A fronte del rilevato conflitto, alla Corte Costituzionale compete vagliare se, in una data situazione, la scelta politica del legislatore sia compatibile con i princìpi dettati dalla carta costituzionale e tale sindacato deve orientarsi lungo due direttrici cardinali: 
a) la valutazione della situazione di fatto, ossia dell’emergenza epidemiologica;
b) l’adeguata considerazione delle risultanze scientifiche disponibili in merito all’efficacia e alla sicurezza dei trattamenti vaccinali.
Inoltre, il sindacato sulla non irragionevolezza della scelta del legislatore deve essere effettuato alla luce delle condizioni sanitarie ed epidemiologiche esistenti all’epoca dell’introduzione dell’obbligo vaccinale, poiché ‘la tempestività della risposta all’evoluzione della curva epidemiologica è fattore decisivo ai fini della sua efficacia’ (Corte Costituzionale, sentenza 12 marzo 2021, n. 37). La necessità di operare una scelta tempestiva determina necessariamente che essa si formi sulla scorta delle conoscenze tecniche e scientifiche proprie di un dato momento storico e nella consapevolezza della loro fisiologica provvisorietà (Corte Costituzionale, sentenza 18 gennaio 2018, n. 5).

La Corte Costituzionale ha evidenziato come la comunità scientifica, in particolare l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e l’Istituto superiore di sanità (ISS), abbiano riconosciuto:

  • la piena efficacia del vaccino, così come l’idoneità dell’obbligo vaccinale rispetto allo scopo di ridurre la circolazione del virus, trattandosi, tra l’altro, di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo a livello mondiale, e che può venire contratto da chiunque, caratterizzato da rapidità e imprevedibilità del contagio (Corte Costituzionale, sentenze 26 maggio 2022, n. 127, 8 luglio 2022, n. 171);
  • l’elevata efficacia vaccinale nel prevenire l’ospedalizzazione, il ricovero in terapia intensiva e il decesso. Proprio la minore pressione sulle strutture sanitarie avrebbe determinato un vantaggio per la tutela della collettività, le cui necessità di assistenza sanitaria non potrebbero essere adeguatamente soddisfatte in condizioni di costante emergenza.

L’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario ha consentito infatti di perseguire, oltre che la tutela della salute di una delle categorie più esposte al contagio, il duplice scopo di:

  1. tutelare i soggetti che sono entrati con loro in contatto (anzitutto quella dei pazienti, che spesso si trovano in condizione di fragilità e sono esposti a gravi pericoli di contagio); 
  2. evitare l’interruzione di servizi essenziali per la collettività (Corte Costituzionale, sentenza 14 dicembre 2017, n. 268).

In ragione di quanto sopra, la Corte Costituzionale ha ritenuto la decisione del legislatore di adottare un trattamento vaccinale obbligatorio non sproporzionata, perché a quel tempo non risultavano misure altrettanto adeguate volte a contenere la crisi epidemiologica e sanitaria.
La soluzione alternativa prospettabile, rappresentata dall’effettuazione periodica di test diagnostici non era percorribile perché, dovendo essere effettuati con una cadenza serrata (a distanza di due o tre giorni), avrebbero determinato un costo insostenibile per lo Stato e un intollerabile sforzo per il sistema sanitario. 
A ciò si aggiunga che l’esito del test non sarebbe stato immediatamente disponibile rispetto al momento della sua effettuazione: il suo esito sarebbe pertanto risultato da subito ‘obsoleto’, posto che esso avrebbe potuto essere stato superato da un contagio sopravvenuto.
 
Come accennato in premessa, nel caso di omesso adempimento dell’obbligo vaccinale è stata prevista la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, con reintegro del lavoratore non vaccinato al venir meno i) dell’inadempimento dell’obbligo o ii) dello stato di crisi epidemiologica.
È convincimento della Corte Costituzionale che la previsione dell’obbligo di sospensione dall’esercizio della professione sanitaria nell’ipotesi di inadempimento dell’obbligo vaccinale – che è opportuno evidenziare non riveste natura sanzionatoria – è da ricondurre nell’ambito della responsabilità del legislatore di individuare una conseguenza calibrata, in termini di sacrificio dei diritti dell’operatore sanitario, strettamente funzionale rispetto alla finalità di contenere la circolazione del virus.
La Corte Costituzionale ha giudicato legittime le misure introdotte dal legislatore, poiché capaci di realizzare un bilanciamento dei diritti propri delle dimensioni individuale e collettiva, in quanto: 

  • sin dall’inizio è stata contemplata una durata predeterminata dell’obbligo vaccinale, modificata in base all’andamento delle condizioni sanitarie e il cui termine di vigenza è stato peraltro anticipato non appena il contesto epidemiologico lo ha consentito;
  • in termini d’intensità, l’introduzione dell’obbligo di sospensione del rapporto lavorativo ha escluso qualsivoglia effetto di natura disciplinare.


Conclusioni 

La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 4 del D.L. 1° aprile 2021, n. 44 che ha introdotto l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, evidenziando la legittimità del bilanciamento effettuato dal legislatore tra il diritto dell’individuo all’autodeterminazione rispetto alla propria salute e l’interesse alla salute della collettività.
Per la Consulta, dunque, è legittima la sospensione dall’attività di lavoro del lavoratore non vaccinato, dal momento che ‘il diritto al lavoro non implica necessariamente il diritto di svolgere l’attività lavorativa quando quest’ultima costituisce fattore di rischio per la tutela della salute pubblica e per il mantenimento di adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza’.


Si rimane a disposizione per qualsiasi eventuale ulteriore confronto si dovesse ritenere opportuno.






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